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Tentativi di letteratura nordcoreana

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E ssere scrittori, poeti o intellettuali a tutto tondo in Corea del Nord vuol dire attenersi alle gerarchie, ai piani di produzione, alla censura. Tutti gli autori sotto il regime dei Kim devono aderire all’Unione degli scrittori Chosun. Certo, questo comporta alcuni benefici: si hanno per esempio a disposizione studi dove poter comporre in santa pace e dedicarsi alla scrittura, i cosiddetti Usanjang. Ma l’intero processo creativo concepito dal Caro Leader è indirizzato alla glorificazione del padre e fondatore della Patria, Kim Il Sung (e a cascata degli eredi). È in questo modo che il Kim Jong Il si garantì già alla fine degli anni Settanta la successione al potere della dinastia rossa, arrivata formalmente soltanto nel 1994.

Mettersi al servizio del juche, il principio dell’autosufficienza alla base dell’ideologia nordcoreana, è una scalata continua. Gli autori più capaci assegnati all’Unità di produzione letteraria Chosun possono essere selezionati per entrare nella cosiddetta “15 aprile”, un gruppo più ristretto specializzato nel definire la figura dell’Eterno presidente. Ciò non toglie che anche gli altri si possano cimentare nel tessere le lodi di Kim Il Sung, come raccontato al Los Angeles Times da Lee Kay-yeon, diventata poetessa al Sud ma cresciuta in Corea del Nord durante gli anni Novanta, quando la narrazione di un Paese forte e potente, propagandata dal vertice, mal si conciliava con le condizioni di vita di cui aveva esperienza diretta: erano gli anni della carestia che il regime rinominò la Dura marcia. Sono questi i semi di una cultura del dissenso che va poi a sbocciare nell’esilio. Le opere dei fuoriusciti sono atti di denuncia del regime. La loro scrittura diventa una strumento per aumentare consapevolezza intorno alla mancata tutela dei diritti umani.

Non è quindi un caso che parte della produzione sia legata al topos della fuga dalla Corea. Un genere che ha nell’Aquario di Pyongyang di Kang Chol-hwan il testo archetipo. È  il caso anche di Dear Leader: Poet, Spy, Escapee – A Look Inside North Korea di Jang Jin Sung, uno dei primi autori a farsi un nome. La sua biografia si riassume nei ruoli di funzionario e poeta: servì con coscienza e talento la propaganda di Pyongyang, tanto da entrare nelle ristretta cerchia di cantori ammessi alla corte dell’Eterno Leader. Dopo la fuga nel 2004, grazie alla quale ha evitato una condanna a morte per avere passato a un amico un testo sudcoreano, Jang si è rifatto una vita a Seul come analista.

Gli scrittori transfughi si trovavano in una sorta di terra di nessuno: né sudcoreani, né nordcoreani.

Dal 2011 Jang lavora per New Focus International, un portale indipendente che prova a diradare la cortina di mistero che avvolge il Paese. Spesso però lo fa affidandosi a fonti anonime, iter che rende difficile verificare la veridicità di informazioni che potrebbero aiutare a capire cosa si muove dietro le quinte del potere. La narrazione del regime a opera degli esuli è un fenomeno esploso negli ultimi anni, sotto le presidenze dei conservatori sudcoreani, Lee Myung-bak, prima, e Park Geun-hye dal 2012.

Inizialmente gli esecutivi che si sono succeduti a Seul preferivano un basso profilo per esuli e rifugiati. Il progressivo deteriorarsi dei già complicati rapporti inter-coreani e la minaccia nucleare di Pyongyang hanno contribuito a dare loro maggiore visibilità. Soltanto nell’ultimo anno il regime ha condotto due test atomici. Il giovane Kim Jong Un ha condotto in poco più di quattro anni al potere più test missilistici di quanti il padre, Kim Jong Il, abbia fatto in quasi tre lustri. Al Sud i racconti degli esuli possono quindi diventare un’arma di propaganda. Nonostante il conflitto degli anni Cinquanta terminò con un armistizio, a oggi manca ancora un trattato di pace, e la tregua di fatto ha rischiato di saltare in diverse occasioni. L’ultima volta fu la scorsa estate, quando il ferimento di due soldati sudcoreani saltati su una mina antipersona posizionata sul lato meridionale del confine rischiò di degenerare in uno scontro aperto. E prima ancora, a novembre del 2010, ci fu il bombardamento dell’isola di Yeongpyeong sul confine marittimo conteso. Una attacco avvenuto quando erano trascorsi appena sei mesi dall’affondamento della corvetta Cheonan, nel quale morirono quarantasei marinai sudcoreani.

Soltanto di recente, comunque,  gli scrittori del Nord hanno iniziato a farsi strada nel mainstream. Lo scorso anno Kim Jung-ae fu la prima a ricevere il premio della Korea Novelist Association come miglior nuovo scrittore. Prima, lei e gli altri transfughi si trovavano in una sorta di terra di nessuno: né sudcoreani, né nordcoreani. Una generazione di autori che si è fatta da sé, in molti casi senza un’adeguata formazione, e che sta a poco a poco emergendo.

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